L’accordo di Vienna
Il 22 giugno si è tenuto a Vienna un incontro dell’OPEC, l’Organizzazione che riunisce i Paesi esportatori di petrolio, con lo scopo di fissare le nuove politiche di prezzo. Infatti negli scorsi mesi i principali Paesi consumatori di petrolio (in testa Cina, India e USA) avevano chiesto un aumento della produzione di questa materia prima.
L’obiettivo è farne calare il prezzo, che ha raggiunto i livelli più alti dal 2014. Le pressioni statunitensi si erano concentrate soprattutto l’Arabia Saudita, che ha preso l’iniziativa di mettere sul tavolo la questione. Il fattore che rendeva difficile l’accordo era la posizione contraria dell’Iran, elemento che rendeva necessaria una mediazione e lunghe trattative.
Cosa prevede l’accordo di Vienna
L’accordo raggiunto a Vienna impegna i Paesi dell’OPEC a immettere una maggiore quantità di petrolio sul mercato, tuttavia le quote non sono ancora state fissate per far fronte alle resistenze di Iran e Iraq. Secondo alcuni funzionari dell’irganizzazione in teoria la produzione potrebbe aumentare fino a un milione di barili al giorno, però è molto probabile che in realtà si tratti di 600.000 barili giornalieri in più.
Il comunicato indica che dal 1° luglio l’OPEC tenterà di attenuare i tagli produttivi, così da rispettare le quote previste a dicembre 2016, cioè 1,2 milioni di barili al giorno. Il testo dovrebbe essere ratificato anche dalla Russia e dagli altri alleati, così da portare la produzione complessiva di petrolio a1,8 milioni di barili al giorno. Non si deve dimenticare che i tagli applicati, compresi quelli degli alleati, riguardano circa un milione di barili al giorno. Per l’OPEC si parla di 624.000 barili al giorno, pari a uno sforamento del 52% rispetto alle quote previste.
Cosa tenere a mente
L’Iran non ha ottenere una condanna ufficiale delle sanzioni statunitensi e al tempo stesso potrebbe trovarsi in difficoltà a causa del meccanismo di distribuzione delle quote. Infatti, esattamente come il Venezuela e altri Paesi produttori colpiti di crisi più o meno gravi, potrebbe essere ulteriormente danneggiata dall’espansione sul mercato di altri membri dell’OPEC.
Infatti l’aumento della produzione in quote individuali per Paese non è stato previsto in quanto l’OPEC non ritiene che tutti i membri siano in grado di far fronte a queste richieste. Gli Emirati Arabi auspicano quindi un impegno collettivo per l’aumento dell’estrazione e un maggiore coordinamento con il comitato di monitoraggio sui tagli per evitare un’offerta eccessiva e abusi. Tuttavia si deve ricordare che il comunicato finale non fa un esplicito riferimento al fatto che l’aumento della produzione chiesto dagli USA proprio per compensare la ridotta disponibilità di petrolio a causa delle sanzioni contro l’Iran.
I prezzi e le reazioni
L’annuncio dell’accordo di Vienna ha portato a ulteriori rialzi di prezzo: il Wti ha visto una crescita di oltre il 4%, superando i 68 dollari al barile. Invece il Brent si aggira sui 75 dollari al barile guadagnando oltre il 2%. Si tratta di un vero e proprio effetto in controtendenza rispetto alla decisione dell’OPEC, tuttavia bisogna tenere a mente che le aspettative degli investitori erano molto più elevate.
Infatti sia gli Stati Uniti che la Russia chiedevano un aumento considerevole della produzione, anche di 1,5 milioni di barili al giorno. Secondo molti investitori, quindi, il livello di produzione non salirà eccessivamente rispetto a quelli attuali. Anche da questo punto di vista si spiega il tweet del Presidente statunitense Donald Trump subito dopo l’annuncio dell’accordo nel quale si augurava che l’OPEC aumenti la produzione di petrolio in maniera rilevante. Proprio come India e Cina gli Stati Uniti hanno bisogno di prezzi bassi per la loro crescita economica.